funerale

Un’antica abitudine vuole che si aprano immediatamente le finestre della casa quando al suo interno viene a mancare una persona. Pare sia legata alla convinzione popolare di liberare l’anima e favorirne l‘ascesa al cielo.

Un’usanza ancora in voga è quella di comunicare a tutto il paese l’annuncio della scomparsa di una persona suonando insistentemente le campane della chiesa in un modo insolito detto “a morto“. Oggi le campane vengono suonate ogni volta che scompare una persona del paese, non appena arriva la notizia, anche se muore lontana da Aringo.

Altra tradizione che si riscontra oggi è il viatico: durante il funerale la famiglia del defunto fa distribuire a tutti i presenti dei filoncini di pane. Questo gesto dalle origini molto vecchie è considerato un ringraziamento della famiglia del defunto verso gli intervenuti. Donare il pane, simbolo della vita, è sempre stata una forma di carità e in questo caso assume anche quella di riconoscenza. Nel passato partecipare ad un funerale spesso voleva dire perdere una giornata di lavoro nei campi e questo semplice gesto serviva a ripagare i presenti per il mancato lavoro di quel giorno.

Importante era il pasto che i familiari consumavano dopo il funerale, dopo giorni di dolore e di digiuno, denominato consolo. Veniva preparato in un’altra casa e portato dai parenti ai familiari del defunto, in quanto l’usanza voleva che il fuoco della casa dove era vissuto il morto doveva restare spento. La porta di ingresso rimaneva sempre aperta durante il giorno in modo da permettere a chiunque di entrare per le visite di condoglianze. Il lutto più stretto e rigoroso era quello della vedova che arrivava a vestire di nero per molti anni.

Riguardo l’eventualità della vita post-terrena, varie erano le credenze popolari. Una sosteneva che i defunti potessero intervenire ad una delle funzioni durante il periodo di Natale e che rimanessero con i loro familiari fino all’Epifania. Per questo si raccomandava, soprattutto ai più piccoli, di non far dondolare la catena del focolare in quei giorni per non intralciare la discesa dell’anima. Si diceva: “Non toccate la catena che c’è un angelo che pena!