- Pare che anticamente Aringo sorgesse nei pressi del colle di fronte al cimitero (sulle coste) nella zona di Piè di Castelli, così chiamata poiché si dice che nelle vicinanze anticamente si trovava un castello. Sembra fu distrutto dal terribile terremoto del 1703 e ricostruito dove è oggi.
- Si racconta che un giorno in paese si accese una sfida impossibile tra due animali: la lepre e la lumaca. Una corsa dal paese fino al valico che porta verso il lago di Campotosto, un percorso molto bello e panoramico tutto in salita. La lepre nella sua ingenuità era straconvinta di fare una passeggiata mentre la lumaca, assai più furba, trovò l’accordo con una sua compagna che viveva di solito su al valico. Partita la corsa, con quattro salti la lepre giunse al valico, ma sul traguardo trovò la falsa lumaca che con fare strafottente si dichiarava vincitrice della gara. La povera bestiola, molto sorpresa, accettò quella sconfitta e avvicinandosi alla viscida interlocutrice, gli disse: la sfida io sicuramente l’ho persa, ma tu non hai di certo la faccia da corridore!
- Quando squillò il telefono all’osteria del Capoccia (l’unico apparecchio allora nel paese), si udì con voce euforica e carica d’orgoglio la frase: “li fiaschi se so retornati, avvertite tutti!” Seguì un boato da parte di tutti i presenti. Quello che telefonava era Sfilatino. Negli anni ‘60 la morra era un passatempo molto praticato e in ogni paesino c’erano una o più coppie famose per la loro bravura. Ad Aringo una coppia molto celebre era formata da Carlo Partenza e Felice (detto Sfilatino) tanto da meritarsi lo slogan “Giuseppe Garibaldi per la guerra e Carlo e Sfilatino per la morra”. Quel giorno il mitico Gigi Soccorsi di Montereale (molto appassionato del gioco della morra) venne con un compagno ad Aringo per sfidare la coppia campione che la leggenda voleva imbattuta tra le proprie mura. Trovarono solo Carlo che in mancanza del compagno Sfilatino fu costretto ad accettare la sfida con un compagno di fortuna. I monterealesi ebbero la meglio e portarono via il trofeo che consisteva in alcuni fiaschi di vino detti proprio “a portà via”. Con questo cimelio così importante riscesero a valle facendo tappa (purtroppo per loro) a Cavagnano all’osteria di Renato e Battista, dove orgogliosamente raccontarono la loro impresa con i fiaschi in bella vista. Ma da Renato in un angoletto c’era Sfilatino che, quando sentì parlare di “sangue aringaro” riferito a quei fiaschi, non poté non rilanciare la sfida raddoppiando la posta. Sfilatino da solo vinse tutte le partite e si sbrigò a fare quella storica telefonata. Diventò l’eroe “delli fiaschi retornati” e quella sera fu grande festa in paese con grandi bevute da quei fiaschi, in cui Sfilatino con la sua ironia era il suo eroe.
- La cama, residuo molto polveroso delle spighe di grano, era ciò che si separava dalla paglia durante la trebbiatura e che veniva raccolta con dei lenzuoli e stipata per “appagliare” i vitellini e altri animali che nascevano in inverno. Ad Aringo c’era però un uso di quella cama sicuramente particolare. Quando c’era un matrimonio, la mattina della cerimonia per le vie del paese immancabilmente si vedeva una striscia di quella maledetta cama che si snodava dalla casa di uno o di tutti e due gli sposi e andava a toccare la casa di qualcuno che ben sapeva il significato della “ncamata”. Quel qualcuno era il lasciato o la lasciata di turno. Era un’onta e una vergogna incredibile e allora parenti ed amici degli “ncamati” si vedevano affannarsi con le scope per far sparire quella striscia di disonore. Quel gesto caratterizzava quella giornata e le successive ed era motivo di divertimento e di sfottò.
- In tempi non lontanissimi ad Aringo, come in molti altri paesi, si conduceva una vita contadina dove spesso si usava il baratto come metodo di pagamento. Si faceva la spesa comprando quelle pochissime cose, tipo “n’etto de conserva”, “n’quartu d’oju” e c’era il fatidico quaderno del commerciante dove si segnava tutto e poi si pagava ognuno quando poteva. Silvano e Marietta avrebbero dovuto pagare il conto con un maiale che allevavano. Quando arrivò Natale e il momento di saldare i conti, Silvano che non era esperto di matematica, pregò sua moglie di occuparsene, ma lei lo convinse ad andare. E lui partì sapendo che fare i conti con quel bottegaio molto scaltro non sarebbe stato uno scherzo. Tornò a casa e Marietta si affrettò ad interrogarlo sull’esito della trattativa, ma Silvano sconsolato gli disse che se fosse andata lei che coi conti ci sapeva fare, sarebbe stato meglio. Poiché – raccontò Silvano – il bottegaio aprendo il quadernone impolverato, prese carta e penna e disse: “scrivo tre e porto quattro, scrivo cinque e riporto sette”, insomma tra “scrivo, porto e riporto, mo vanne ‘mpo là e porteje quill’atru porcu!”. Insomma un maiale solo non sarebbe bastato e dovendo privarsi anche dell’altro per Silvano e Marietta l’inverno si sarebbe presentato molto duro.
- La chiesa al centro del paese è stata edificata su un antico piccolo cimitero.
- Nel 1927 Antonio D’Amico dava inizio ai lavori di costruzione della esclusiva villa visibile arrivando in paese da sud. Abitata dalla sua famiglia fino a metà degli anni ‘40, è stata venduta a Celestino De Vecchis (marito della signora Pasqua) che vi ospitò i Socci, famiglia di coltivatori giunti in paese da Cese di Preturo. La villa, ormai disabitata, è meglio conosciuta come la “Villa della sòra Pasqua”. Tra i muratori che parteciparono ai lavori per la sua fabbricazione, ricordiamo Felicitto e Nello.
- La piazza principale, oggi piazza Risorgimento, è stata intitolata per un periodo piazza Giacomo Acerbo (ancora sono visibili le tracce della scritta sopra la cabina telefonica) in ricordo del suo soggiorno ad Aringo negli anni ‘30, ospite della famiglia Tudini. Docente di economia e legislazione agraria, fu nominato deputato dal 1921, vicepresidente della Camera e ministro dell’Agricoltura. Alla fine della II guerra mondiale, nonostante fosse stato tra i firmatari dell’ordine della caduta di Mussolini, fu condannato a 30 anni di carcere per il passato fascista e poi amnistiato. Nel 1952 fu reintegrato nella sua funzione di docente presso l’università di Roma
- Ad Aringo fino alla fine degli anni ‘70 c’era la presenza fissa del curato. La casa del prete stava sulla strada vicinale del fosso, subito dopo l’alco Ciani, fino a don Pompeo. Don Giovanni fece costruire negli anni ‘50 quella che oggi ospita la sede dell’Aringo Club.
- Armando (Capoccia) ed Edoardo (Scoccimarro), due tra i più conosciuti bottegai del passato, erano legati da una grande amicizia. Accadeva spesso (soprattutto durante l’inverno) che si incontrassero, ora in una bottega ora nell’altra, per bersi un buon bicchiere in compagnia. Si racconta che un giorno di tanti anni fa uno dei due pagò la bevuta con lo stesso soldo ricevuto dall’amico e conservato per caso. I due iniziarono così ad usare sempre la stessa moneta (50 lire di allora) per pagarsi il vino bevuto insieme, moneta che cominciò così a girare da una bottega all’altra. Pare che questa curiosa abitudine andò avanti per decenni e che i due osti si servirono sempre e soltanto di quella moneta per pagarsi i bicchieri bevuti insieme, forse perché considerata un simbolo della loro amicizia o forse soltanto per gioco.
- Quando in tempo di guerra non esisteva ancora la televisione, si doveva trovare un modo per trascorrere le lunghe serate, soprattutto d’inverno. A casa di Edoardo, abitata da numerose famiglie con bambini piccoli, spesso le mamme chiamavano Giustina, un’anziana signora che aveva lavorato in gioventù a servizio di nobili casate. La comare seduta davanti al camino, riuniva intorno a sé tutti i bimbi di casa e raccontava loro le storie più bizzarre sulle vicende vissute e sui personaggi da lei incontrati. Queste erano spesso arricchite con la presenza di orchi, draghi e streghe. In questo modo stimolava l’interesse dei piccoli che rimanevano a lungo incantati ad ascoltare la vicina.
- Anticamente sulle porte di ingresso delle case veniva ricavata un piccola apertura nell’angolo in basso, detta gattarola, per permettere al gatto di entrare e uscire in maniera autonoma.
- S. Emidio è considerato da sempre il protettore dei terremoti. Ancora oggi, ogni volta che si parla di eventi tellurici, il suo nome viene invocato dalle paesane delle generazioni passate in segno di protezione.
- Nei primi anni ‘60 arrivò un po’ in ritardo anche ad Aringo la televisione. Il primo a comprarla fu il sor Celeste. Nonostante i problemi di ricezione, la sera i capi famiglia del paese si riunivano presso la villa della sora Pasqua (moglie del sor Celeste) a guardare questa scatola magica che trasmetteva programmi che appassionavano e rivoluzionavano le serate. Quando il prete di allora (don Giovanni) allestì alla meglio una stanzetta con una stufa a legna e alcune sedie, anche i più piccoli potevano andare di pomeriggio a vedere l’inizio delle prime trasmissioni televisive. Era un momento di aggregazione e di spensieratezza che mostrava un mondo nuovo e prometteva grandi sogni.
- A prato lungo, in località Iammarine, in primavera si verificava il fenomeno denominato “il richiamo delle acque cese”. Con lo scioglimento delle nevi si formavano dei veri e propri torrenti naturali che venivano giù dai monti più alti lungo i boschi e si dirigevano verso il ponte di S. Lucia. L’acqua delle sorgenti era ricca di numerose trote e gamberi da fiume.
- Nei tempi passati la salsa di pomodoro si preparava in casa, dopo la stagione estiva, con un singolare procedimento. Per organizzare le scorte per tutto l’inverno, una volta raccolti i pomodori più maturi venivano versati in un pentolone e lasciati bollire per molte ore (serviva a far evaporare l’acqua contenuta) fino a che se ne ricavava una salsa molto densa. La conserva (fitta più di una marmellata) veniva messa ad asciugare al sole o al fuoco del camino e successivamente avvolta in foglie di granturco. I panetti erano a questo punto riposti nelle dispense o nelle cantine e pronti per essere consumati. Per la preparazione del sugo infatti, bastava scansare la foglia che ricopriva la conserva e con un coltello asportarne una fetta che, aggiunta ad un soffritto di odori, un po’ di lardo e qualche cucchiaio di acqua, dava vita a un buon sugo casereccio.
- Nel passato era facile vedere i più piccoli divertirsi con mezzi e giochi realizzati per l’occasione. Tra i più comuni si ricordano i monopattini costruiti in legno, i carretti trainati da altri bambini e le carrozzelle (tavole di legno con 4 ruote, due posteriori più grandi e due anteriori più piccole, collegate ad un mozzo in modo da poter essere girate con i piedi).
- Durante la II guerra mondiale ad Aringo c’era un comando tedesco. Quando intorno al 1944 furono paracadutati nelle vicinanze dei soldati alleati, quattro di essi si nascosero nelle nostre zone:
1. Jack l’Americano
2. Uno di colore (forse di nome John) nascosto nei pressi di Iammarine. Quando la mamma di Andreina lo vedeva, esclamava: “Uah pòro cristiano, chissà da quanto tempo è che non te lavi!” e lui rispondeva sorridendo: “Mamma ma io essere proprio così!”
3. George l’Inglese, rifugiato nelle casette delle vigne sul colle della città. A testimonianza della sua presenza, ancora oggi sono visibili i segni dei giorni trascorsi lasciati sulla roccia
4. Andrew il bresciano, un italo francese chiamato Andrea in paese. Si narra che una spiata di qualcuno permise ai tedeschi di tendergli una trappola, ma lui scappò verso la via della Forconia. In un primo momento sembrava che ce l’avesse fatta, ma il salto di una recinzione gli fu fatale poiché un filo spinato lo agganciò ad una gamba bloccandolo e permetttendo a due tedeschi di raggiungerlo e catturarlo. Appena fu riportato con strattoni verso l’ufficiale, questo lo minacciò con la pistola puntata alla fronte. Alcuni ragazzini presenti in quel momento avrebbero fatto qualsiasi cosa per fermare quella mano omicida e salvare il loro eroe. Ma l’ufficiale sparò con rabbia verso la fronte di Andrea colpendolo fortunatamente solo al braccio che lui sollevò. Provò a sparare un secondo colpo, ma la pistola si inceppò. E allora tutte le doti atletiche di Andrea furono messe alla prova in una corsa disperata verso la libertà e la vita, tra le grida di entusiasmo di quei ragazzi che lo incitavano e i tedeschi che continuavano a sparargli alle spalle. Dopo varie peripezie, riuscì a salvarsi e a tornare in patria. - Molte sono nella zona le sorgenti naturali di acqua fresca e cristallina che sgorgano dalle rocce tra i monti: la più conosciuta è la sorgente di frà Clemente vicino a Montereale. La sua acqua dalle proprietà diuretiche, è povera di calcio ma molto buona. La leggenda narra che un frate di nome Clemente, camminando tra i boschi con sua madre malata, si fermò in quel punto a pregare avendo bisogno di far bere l’anziana mamma. Quando si alzò e colpì col suo bastone le rocce, cominciò a fuoriuscire un flusso di acqua che servì a rinfrescare e guarire la signora.